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Centro Commerciale Happio (2019)


Il Centro Commerciale Happio, aperto a marzo del 2015 è un esempio, sul modello dell'AURA, di centro commerciale realizzato all'interno del tessuto urbano. Sorge dove una volta c'era il deposito della Stefer (Società delle Tranvie e delle Ferrovie di Roma, figlia della società francese Thomson Houston) che gestiva il trasporto pubblico intorno alla capitale.
I romani più anziani ricorderanno certamente il "tranvetto" dei Castelli. Era il 1906 l'anno in cui venne inaugurata la linea tranviaria Stefer da San Giovanni a Grottaferrata, per poi diramarsi, da una parte, verso Frascati, dall'altra, verso Albano. Per i romani, cultori della scampagnata ai Castelli, fu una vera "sarvata" della "gita a li castelli". Al tranvetto è anche legato il modo di dire “chiuso Frascati”, che era il richiamo con cui il fattorino del tram avvertiva che le carrozze erano ormai piene e che poi fu adottato dai romani per troncare un diverbio: "finiamola lì".
Il “tranvetto” è stato per tanto tempo il mezzo di trasporto principale e, fino alla sua dismissione dopo l’apertura della linea A della Metropolitana, ha accompagnato la trasformazione urbanistica della città lungo l'Appia fino ai quartieri Don Bosco e Appio Claudio.
Negli anni '50 del '900, col progresso e l'urbanizzazione massiva, iniziò il declino della Stefer che, nel 1976, venne acquisita dalla COTRAL, Azienda Consortile pubblica. Poco a poco il "tranvetto" rimase solo nei ricordi, con la chiusura progressiva prima delle tratte verso Frascati e Albano, poi di quella fino a Grottaferrata. La linea tranviaria venne cessata definitivamente nel 1980, con l'inaugurazione della Metro A fino a Cinecittà e Anagnina.

Tante sono le storie che si porta dietro il "tranvetto", come riportato nel bel libro di Sandro Iazzetti, I quartieri Don Bosco e Appio Claudio a Roma; scrive Aldo Pirone sul blog Abitare a Roma: << ... nelle prime ore del mattino era sempre pieno di un’umanità sonnolenta che dalla periferia tentava di raggiungere il centro, per andare a lavorare. Ci si saliva a stento, subito investiti dall'invito insistito, burbero o disincantato, del bigliettaio: “Avanti c’è posto”.  Alle facce assonnate e silenziose dei lavoratori e degli impiegati diretti agli uffici nel centro storico di Roma, facevano da contrappunto quelle allegre e chiassose degli studenti delle scuole superiori che, da poco passati i tempi eroici di quando si aggrappavano ai timoni posteriori dei tram per un viaggio “a sbafo”, cercavano quasi sempre di rimanere sul fondo per non pagare il biglietto. Le poche lire sottratte alla Stefer sarebbero poi servite per il cinemetto di terza visione, per il gelato, per il juke box, il flipper o per la partita a bigliardino con gli amici. Da quel fondo del tram rigurgitante giovinezza arrivavano frizzi e lazzi, battute sugli insegnanti, commenti e sfottò, soprattutto il lunedì, sulle partite e le squadre del cuore: Roma e Lazio ovviamente la facevano da padrone. Il tifo era ancora buono, occasione di scherzo e di prese in giro. Qualche persona più anziana cercava nella calca di ritagliarsi un piccolo spazio per leggere un giornale tutto piegato, idem lo studente ritardatario che s’immergeva nel libro per ripassare una lezione in vista di una probabile interrogazione. Le ragazze stavano attente alle mani degli uomini vicini. Le donne più mature, in particolare le popolane, a volte svergognavano l’incauto molestatore con battute al fulmicotone. A tratti si accendeva qualche discussione di breve durata o qualche battibecco dovuto alla calca. Quando il tram arrancava sulla salita del Quadraro verso Porta Furba, si potevano vedere dai finestrini le interminabili baracche addossate all'Acquedotto Felice, rifugio di tanti lavoratori immigrati dalle regioni meridionali e di un sottoproletariato che viveva di espedienti. Spesso si sentiva il commento del “benpensante” di turno sulla vergogna, non delle baracche, ma delle antenne delle TV che svettavano su quei miseri tuguri. Segno, secondo lui, di un’opulenza e di un finto bisogno di case decenti.>>

Storie trascinate definitivamente via dalla cancellazione del vecchio deposito che, dopo essere rimasto per tanto tempo dismesso, ha lasciato il posto a questo ennesimo e strano luogo sacro dello shopping, con l'ingresso popolato di grandi lumache colorate che inneggiano alla rigenerazione urbana eco-sostenibile, ma che in verità lasciano inevase molte domande. Così come ci si chiede perché, nel nome Happio, una improbabile H fa da premessa ad un nome denso di storia romana. Trovandosi lì ci si rende conto di come della rigenerazione siano rimaste forse soltanto le intenzioni dei progettisti. Lì, invece, secondo i piani del 1987, doveva nascere la sede coperta del mercato rionale di via Gino Capponi, con annessi spazi di servizio culturale e sociale per il quartiere, il tutto più o meno contenuto nelle cubature dei vecchi capannoni della Stefer. Ora lo spazio è occupato da un esorbitante edificio che incombe, soffocandolo, sul vecchio deposito. Tutto per colpa di un accordo di programma tra l'Amministrazione e la “Società Pontinia 2000 S.r.l.” del costruttore Mezzaroma.
Il risultato è un centro commerciale di tre livelli, di cui uno interrato, di cui nessuno sentiva il bisogno in una zona dove l’offerta commerciale anche di qualità non manca certo, mentre il cosiddetto “vantaggio pubblico” che doveva accompagnare l'accordo tra il Comune e il costruttore, ovvero il trasferimento del mercato e la riqualificazione complessiva della zona dell'Alberone resta sempre: "una questione di giorni"!

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